“IL LAMPADARIO” di CLARICE LISPECTOR e “DINASTIE” di MICHELE MASNERI
Due letture per scandire il tempo di novembre
Passato e presente sono spesso delle mere convezioni, anche e soprattutto sul piano letterario dove, al massimo, possono diventare dei pretesti. Come questo mio, utile a parlarvi di due libri lontanissimi tra di loro per quanto riguarda la dimensione temporale, ma entrambi capaci di annullare le distanze. E risultare sempre e comunque godibilissimi.
A partire da Clarice Lispector, una vera maestra nel dare la percezione di un tempo che sfugge a qualsiasi regola e che rimane intoccabile nella sua perfezione. Del resto, è anche questo il dono dei grandi narratori, trattare la materia che hanno tra le mani fino a renderla un unicum, libera dalle definizioni più accademiche e paradigmatica nel suo stagliarsi solitaria davanti a tutte le altre per tracciare una strada apparentemente semplice ma di fatto poco praticabile dai profani.
Ed è una dote, questa, che la scrittrice ucraina naturalizzata brasiliana, esercita magistralmente nel suo “Il Lampadario” (edito da Adelphi), un romanzo che ha visto la luce a Napoli nella seconda metà del 900 e che si spalanca su una narrazione slegata da ogni dimensione spazio- temporale, tale da creare un monumento di stile in cui la complicità con chi legge diventa fondamentale. Si, perché al netto della precisione al limite dell’ossessivo di descrizioni certosine, di passaggi mentali intricati, di paesaggi esterni che vengono interiorizzati con movimenti drammatici, quello che scorre sotto gli occhi va di pari passo con quanto si sviluppa in una dimensione più sensibile, intima, personale. È questa, checché ne dicano i detrattori, la magia di Clarice Lispector, la sua capacità di far coesistere mondi agli antipodi e di permettere a chi legge oggi, a distanza di quasi un secolo, di godere di una lettura densa e senza stagioni.
Perché se l’essenziale è invisibile agli occhi, non lo è di certo per l’anima che tutto coglie, a partire dall’esistenza di due fratelli, Virginia e Daniel, bambini spersi nella grande e vuota casa di Granja Quieta, dove i respiri sono ingombranti come quel lampadario che, solitario, domina una villa fredda e spoglia. È il diario di giorni inutili, accompagnati da una natura matrigna, in cui si muove una bambina dall’occhio sghembo, impegnata a esistere al netto di una monotonia di fondo spezzata solo dalle angherie silenziose del fratello, accompagnata dai silenzi dei boschi, sospinta da richiami a cui si farà fatica dare un nome. Azioni sempre uguali a sé stesse, in cui mondo onirico e materiale si confondono e rendono vaghi anche i confini cittadini, laddove Virginia ormai adulta si trasferirà per provare a costruirsi una vita alternativa, lontana da quella “Società delle Ombre” a cui sfuggire, però, sembra quasi impossibile.
“Come vorresti essere tu?” “Come le lucciole. Se nessuno sa come siamo, se stiamo apparendo o scomparendo, se nessuno lo indovina, pensi che non viviamo lo stesso nel frattempo? Viviamo eccome, abbiamo la nostra storia e tutto, come le lucciole”
E misteriosa come le lucciole è, volutamente, la penna di una scrittrice che sembra sempre in procinto di svelare un mistero e che invece trascina il lettore in un vortice capriccioso, dove ogni regola viene meno trascinata dalla limacciosa e incerta promessa di un’altra esistenza.
Diverso il discorso per Michele Masneri, novello fustigatore di costumi contemporanei, il cui sguardo sagace e ironico si nutre benissimo dell’eredità del suo compianto conterraneo, Alberto Arbasino, e dalle pagine del quotidiano Il Foglio arriva svelto e scoppiettante in “Dinastie”. Il suo ultimo libro, edito da Rizzoli, è un pastiche di quadretti di una nobiltà contemporanea, laddove i nobili sono le ricche famiglie che hanno fatto – e fanno – l’Italia. Naturalmente con beneficio d’inventario e un sorriso nemmeno troppo celato. Perché sono i Prada ma anche i Ferragnez, i Trussardi e i Beretta, ma anche i Calenda, gli Agnelli e i De Benedetti, in un catalogo che percorre lo Stivale senza limiti temporali, tracciando una panoramica delle famiglie che comandano e influenzano il Paese, adorate dalle folle oppure odiate senza ritegno ma pur sempre sulla bocca di tutti. O quasi. Masneri si diverte e ci diverte nel tracciare vizi e virtù dei nuovi nobili, le loro storie come le loro idiosincrasie, dando vita a un folklore colto che, al netto di cataloghi di fantozziana memoria, diventa un divertissement – tratteggiato divinamente – al quale abbandonarsi.
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