E' possibile sapere chi saremo nel futuro?
Dobbiamo parlare ogni giorno con la persona che vogliamo diventare, farle spazio nell’agenda di ogni giornata spostando da un lato, per un momento, le cose urgenti che ci attanagliano. Quelle sono solo urgenti. Lavorare a chi vogliamo essere è importante. Questo è l’eterno inghippo in cui ci areniamo. Così, a freddo, sappiamo benissimo distinguere tra le cose urgenti e quelle importanti. Solo che man mano che le cose urgenti acquisiscono maggiore urgenza – o ritardo – diventano apparentemente sempre più importanti, confondendoci le idee.
Lavorare a chi vogliamo diventare richiede uno sforzo di proiezione e di pratica con l’idea del futuro. Restare troppo attaccati al presente ci costringe a privilegiare le cose di oggi rispetto a quelle di domani, le cose che sappiamo fare rispetto a quelle che dobbiamo ancora imparare, la nostra comfort zone rispetto a zone inesplorate del nostro io.
A dirlo con chiarezza è Peter Bregman, CEO della Bregman Partners, società di coaching per persone di successo che vogliono migliorarsi – essere migliori leader, creare squadre di lavoro più efficaci, portare le aziende per cui lavorano a risultati più brillanti.
Nella continua conversazione dalle pagine di Cocooners.com su questa longevità di cui godiamo, è importante comprendere che senza un minimo di pianificazione su chi e come vogliamo essere quando saremo in pensione, quando avremo 70 anni, quando saremo nonni, ecc., si rischia di arrivare impreparati al momento clou. E così che si opera il tipico sbando da pensionamento. Dall’oggi al domani molli il lavoro e dopo la prima settimana di dolce far niente, vai in paranoia perché non sei più tu. E nemmeno qualcuno che vorresti essere. Tua moglie, o tuo marito, dà di matto ad averti sempre tra i piedi e l’equilibrio della vecchia vita va in pezzi senza un degno sostituto. E’ sempre stato così, ma l’aspettativa di una vita lunga fino a 90 anni e oltre rende il problema ancora più pressante.
Chi va in pensione oggi ha davanti una ventina d’anni, venticinque. Una bella fetta di vita per la quale vale la pena interrogarsi fin da subito su chi vogliamo essere e come vogliamo viverla, con un po’ di senso della realtà e al di fuori del cliché del pensionato che va a pescare a fiume.
Come visualizzarci
Ognuno di noi ha ormai compreso a 50/60 anni quali sono le proprie attitudini, le proprie passioni quando ve ne sono, le cose che ci piace fare. E’ a questa età che bisogna fare lo sforzo di immaginarsi più avanti negli anni, possibilmente con la grazia di una capacità di attività integra ma anche immaginando l’epoca in cui questa andrà gradualmente riducendosi.
Chi vorremmo essere negli ultimi 20/25 anni della nostra vita? Perdiamo pure del tempo nelle varie congetture, osservando le risposte da diversi punti di vista. Prima di tutto quello caratteriale, poi quello familiare, quello economico, quello geografico. Cerchiamo una risposta che ci convinca e che sia praticabile. Poi cominciamo a parlare con quel signore (o signora) immaginario e cominciamo a prepararci al cambiamento. Se c’è da studiare, studiamo. Se c’è da mettere in piedi un business riserviamo uno spazio ogni settimana per cominciare a lavorare a un possibile business plan. Chiediamo una mano a un amico se necessario. Se è un progetto di volontariato cominciamo a vedere cosa fanno le associazioni che se ne occupano e dove. Se implica un trasloco cominciamo a guardare le case nella zona dove vorremmo trasferirci, ma anche i luoghi di intrattenimento, di assistenza medica, i posti dove si può fare sport o socializzare. I prezzi, fondamentali. Facciamo insieme al nostro consulente un calcolo il più verosimile possibile della nostra pensione e applichiamoci a cercare di capire quanto costerà vivere come abbiamo in mente di vivere in futuro. I numeri non tornano? Come si può fare in modo che tornino?
Certo, poi ci sono le persone che non amano pianificare, ma qui il discorso è un altro. Immaginarsi fare o essere qualcos’altro è un esercizio di grande flessibilità mentale, di visualizzazione, di costruzione che costa fatica. E’ molto più facile trincerarsi dietro le urgenze di oggi, ma essere occupati ci distoglie a volte dall’essere produttivi. Per noi stessi.
Chi vogliamo diventare è un po’ l’ultimo figlio. Ha bisogno di essere desiderato, di una gestazione, di un budget messo da parte per accudirlo, di progettualità e di amore. E di nuove competenze da aggiungere a quelle che già abbiamo. Soprattutto, secondo Peter Bregman, il coraggio emozionale.
La sua ricetta è di dedicare al nostro progetto futuro 18 minuti al giorno.
Voi chi vorreste essere nel prossimo quarto della vostra vita?
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