Una forza lavoro sempre più senior e sempre più scarsa
La popolazione lavorativa riflette le tendenze demografiche del Paese e monta la polemica
Pasquale Tridico, Presidente dell’INPS, ha lanciato l’allarme: i conti della previdenza sono in sofferenza e tra vent’anni saranno in crisi. Oggi ci sono 1,4 persone in età da lavoro ogni pensionato, ma per il 2050, tra meno di trent’anni, saranno 1 a 1. Bisogna fare qualcosa.
La storia della pensione
Il concetto di pensionamento è stato inventato tra fine XIX e primi del XX secolo con l’obiettivo di offrire copertura dal rischio malattia e dal rischio longevità. Infatti l’età pensionistica superava in genere l’aspettativa media di vita del periodo, quindi chi riceveva la pensione erano i pochi che sopravvivevano all’aspettativa media di vita e, data l’età, non avevano più molte energie da dedicare a un lavoro retribuito. Col tempo la situazione demografica è cambiata e subito dopo la seconda Guerra Mondiale abbiamo vissuto un boom di nascite. Tanti giovani che con i loro contributi lavorativi pagavano le pensioni di pochi anziani.
Un momento però. Non è che le pensioni fossero sulle loro spalle, erano in realtà pagate dai contributi versati durante tutta la vita lavorativa ma, di fatto, poiché non esiste un conto presso l’INPS con il nome di ciascuno di noi contenente i nostri contributi, il sistema funziona, si dice, a “ripartizione”, cioè in base a un patto tra giovani e anziani: i lavoratori attuali con i loro contributi “pagano” le pensioni attuali e così avverrà in futuro per loro stessi.
Cosa è successo negli anni alla pensione?
Primo, ha cominciato ad allungarsi la vita, quindi i contributi versati effettivamente non sono più sufficienti a coprire la spesa pensionistica per tutti gli anni che viviamo in quiescenza. Secondo, non facendo più figli, la popolazione sta diminuendo (siamo già sotto i 60 milioni, 58.8, e nel 2050 saremo 54 milioni) e con essa la popolazione lavorativa, tanto che le ultime stime danno un calo di 4 milioni di lavoratori da qui al 2042. Significa una riduzione del 18%.
La riforma ha modificare il sistema di calcolo dell’assegno pensionistico, da retributivo (basato su una media delle ultime retribuzioni) a contributivo (basato su quanto effettivamente versato) ma non ha di fatto cambiato il sistema di giro-conto tra attuali lavoratori e attuali pensionati. Il risultato è che tra 20/30 anni avremo ancora meno lavoratori e i loro contributi non basteranno a pagare le pensioni di sempre più pensionati (si prevedono 19/20 milioni di over 65 contro gli attuali 14).
Ecco perché Pasquale Tridico è preoccupato.
In questo scenario diventa fondamentale il ruolo dei lavoratori senior, ampiamente sotto-impiegati in Italia (vedi i dati nel box) dimostrando che, se possiamo avere la quota più bassa in Europa di lavoratori senior attivi ma la più alta di disoccupati giovani, vuol dire che non è vero che il lavoro senior frena l’occupazione giovanile.
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Quali le ricette per far fronte a questo rischio default del sistema previdenziale? Un po’ di buon senso che richiede però l’impegno dello Stato, delle imprese, degli individui, del sistema formativo:
- Concepire un nuovo ciclo lavorativo improntato alla flessibilità in cui il lavoratore possa lavorare più a lungo con tempi meno impegnativi: per esempio la settimana di 4 giorni, alternanza tra aggiornamento delle competenze e lavoro, flessibilità di tempi e di luoghi di lavoro, forme contrattuali più elastiche per pensionati che intendano continuare a lavorare o tornare a lavorare ma in modo autonomo e flessibile negli orari. Quest’ultima è una cosa che sta accadendo sempre più spesso: per esempio in Bosch esistono veri e propri gruppi di lavoratori pensionati (1.500 suddivisi in 9 Paesi) che continuano a prestare consulenza all’azienda a chiamata o periodicamente. Persino Scotland Yard ha richiamato alcuni detective in pensione. Potrebbe arrivare il giorno in cui lo Stato, anziché facilitare le uscite anticipate con scivoli pensionistici, concorda con le imprese un partenariato dove, per un certo periodo di tempo che precede il pensionamento a tempo pieno, l’INPS riconosce al lavoratore senior una pensione parziale, poniamo al 50%, e l’impresa gli offre un’attività part-time. Il lavoratore così mantiene il suo tenore di vita ma riduce il carico di lavoro pur mantenendosi attivo. L’azienda trattiene le competenze ma riduce i costi. Lo Stato non è costretto a pagare pensioni piene in anticipo.
- Richiedere per contro alle aziende di prendere un impegno nei confronti della formazione continua, di giovani ma anche di senior. Solo sostenendo l’impiegabilità dei lavoratori senior, all’interno dell’azienda ma anche eventualmente all’esterno se il rapporto dovesse sciogliersi, sarà possibile promuovere un’attività lavorativa parziale in età già mature, con il vantaggio di maggiore reddito e di una maggior tutela delle funzioni psico-fisiche del lavoratore (sempre che non si tratti di lavori usurati) come confermerebbe qualsiasi medico. Guardando i dati di impiego dei lavoratori senior europei, si vede come il lavoro part-time e il lavoro autonomo stiano crescendo nelle fasce di età più avanzate (55-64 e 65-75), mentre noi restiamo nelle ultime posizioni per l’occupazione di lavoratori senior rispetto ai nostri pari.
- Smettere di confondere l’immigrazione strategica con l’azione umanitaria di salvataggio dei profughi. Ogni Paese può trarre vantaggio da una pianificazione in senso strategico dell’immigrazione per compensare gli effetti della demografia ma deve sapere di quanti e quali lavoratori stranieri ha bisogno, quali competenze, da quali Paesi. E gestire in modo fluido l’integrazione dei lavoratori stranieri. Il fatto che da noi si possa dover aspettare decenni prima di avere la cittadinanza e che i tuoi figli possano arrivare all’università senza essere ancora considerati cittadini italiani non attrae lavoratori stranieri specializzati.
- Ridurre il numero degli inattivi, le persone che non hanno un’occupazione retribuita (quanto meno alla luce del sole) e non la cercano. In Italia abbiamo la quota più alta di inattivi rispetto all’Europa: un quarto degli uomini in età da lavoro e la metà delle donne. Significa da una parte far emergere il lavoro nero e dall’altra aiutare il genere femminile nella conciliazione di una attività lavorativa con il carico di cura familiare, bambini (sempre meno) e anziani non autosufficienti (sempre di più). Significa fare più asili nido pubblici; mantenere nidi e asili aperti tutto il giorno permettendo alle madri di riprendere i figli quando possono, come accade in Francia; significa rendere universale gli aiuti economici alla procreazione, a testimonianza dell’importanza che fare figli ha per il Paese; significa accelerare il potenziamento dell’assistenza domestica ad anziani non autonomi per sostenere le donne care-giver e infine significa avere l’impegno delle aziende nella flessibilità di tempi e luoghi di lavoro. La Francia svariati decenni fa ha compreso la direzione demografica dell’Europa e ha deciso di intervenire con molte di queste misure subito. Il risultato è che oggi ha il tasso di natalità più alto del continente. Purtroppo è troppo tardi per sperare che politiche di sostegno alla natalità risolvano il problema: per prima cosa non ci sono più abbastanza donne in età fertile per invertire la tendenza demografica, secondo, per bene che vada cioè sempre che si riesca a indurre le donne italiane a fare più figli, questa ipotesi richiede almeno 20/25 anni perché abbia effetti sulla forza lavoro. Terzo, non è detto che le donne italiane vogliano fare più figli, almeno finché la rete di servizi e la flessibilità di cui sopra non saranno un dato di fatto.
- Infine significa agire affinché il sistema formativo scolastico superiore sia consapevole e all’altezza delle competenze richieste in futuro dal mercato del lavoro e in grado di orientare i giovani verso gli studi che diano più prospettive di autonomia economica.
Come appare chiaro stiamo rischiando di continuare a prendere sottogamba una profonda modificazione della nostra società e del nostro ciclo di vita, come peraltro hanno fatto tutti i governi che si sono succeduti, a prescindere dal colore politico. L’invecchiamento del Paese non è un dramma se lo si gestisce in modo corretto e se le aziende investono nella loro intelligenza demografica. La consapevolezza è il primo passo.
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