Ex docente di lettere italiane, latine e greche al liceo ed ex opinionista dell' Avvenire, attualmente mi occupo sia di problemi sociali, scrivendo libri ed articoli sulla parità di genere, sia coltivo la mia passione umanistica, pubblicando articoli e saggi di critica letteraria e di critica d’arte.
Andy Warhol è stato uno degli artisti più famosi del XX secolo. Abile interprete del suo tempo, si è cimentato nella pittura, nel design, nella fotografia, nella musica e nel cinema.
Chi era Andy Warhol
Andy Warhol, nome d’arte di Andrew Warhola Jr., è nato in Pennsylvania, il 6 agosto del 1928.
Dopo la laurea in Belle Arti, conseguita nel 1949, si è trasferito a New York, dove in breve tempo si è affermato nel mondo pubblicitario, lavorando per riviste come Vogue, Harper’s Bazar e Glamour.
La sua carriera artistica è iniziata intorno al 1960, quando cominciò a realizzare opere ispirate a prodotti di largo consumo ed a personaggi famosi. Nel 1964 fondò il celebre studio The Factory, che divenne il punto di incontro della cultura underground di New York. Fu proprio alla Factory che vennero girati i suoi primi film, come Sleep and eat (1963).
Nel 1968 una femminista radicale e frequentatrice di The Factory gli sparò. Warhol sopravvisse, nonostante le gravissime ferite riportate. Morì nel 1987, a 58 anni, per un’aritmia in seguito a un intervento alla cistifellea.
La rivoluzione di Andy Warhol nel mondo dell’arte
Andy Warhol è stato un esponente di spicco della pop art, un movimento artistico, nato in Inghilterra e sviluppatosi negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ’50, caratterizzato dall’uso di immagini tratte dalla cultura popolare.
Erano gli anni del boom del dopoguerra, segnati dall’espansione dei media, della pubblicità e dall’aumento dei consumi.
Influenzato dal consumismo ed, a livello artistico, anche dal New Dada e dal dadaismo dello stesso Duchamp, Warhol ha reso, come protagonisti delle sue opere, oggetti comuni, immagini della pubblicità e della televisione.
Contrariamente all’Espressionismo astratto, allora dominante in America, che enfatizzava l’ interiorità dell’artista, Warhol ha riprodotto la realtà in modo oggettivo ed impersonale. Ha abbandonato anche l’atto manuale del dipingere ed ha utilizzato la serigrafia, una tecnica di stampa che permette di rappresentare in serie le immagini.
Trasformando l’opera d’arte da elemento unico a prodotto di serie, Warhol, quindi, ha modificato il significato tradizionale dell’arte, facendola diventare un prodotto di massa, da “consumarsi” come un qualunque altro prodotto commerciale.
Vediamo come l’artista abbia concretizzato questi criteri attraverso l’analisi di alcune delle sue opere più iconiche.
I barattoli di zuppa Campbell’s e le bottiglie di Coca Cola
L’opera con cui Andy Warhol esordì nel mondo dell’arte fu la Campbell’s Soup Cans, realizzata nel 1962. E’ un rettangolo, formato da 32 riquadri seriali: ognuno raffigura, sul fondo bianco, una lattina di una varietà diversa di zuppa Campbell (di cui egli stesso era un grande consumatore).
Sempre nel 1962 l’artista ha incominciato a produrre anche la serie di bottiglie di Coca Cola (nella sua carriera ne ha replicate oltre 15). Le bottiglie appaiono l’una vicina all’altra, come se esposte sugli scaffali dei supermercati.
La Coca Cola era il simbolo dell’ America stessa e, come i barattoli Campbell’s soup , era diventata anche il simbolo dell’omogeneizzazione dei gusti e della cultura.
Nel suo libro, The Philosophy of Andy Warhol,l’artista, infatti, aveva scritto: la cosa bella di questo paese è che … i consumatori più ricchi comprano essenzialmente le stesse cose dei consumatori più poveri… si può sapere che il Presidente beve Coca Cola, Liz Taylor beve Coca Cola e, pensateci, anche voi potete bere Coca Cola.
Per Warhol, quindi, la Coca Cola, come la zuppa in scatola, in quanto prodotto consumato da tutti, aveva favorito una sorta di “democratizzazione” della società, mettendo tutti sullo stesso piano.
I ritratti più famosi
La società di massa, dove l’essere e l’apparire coincidono, ha favorito anche il culto dell’immagine – idolo, creando una cultura fatta di modelli da seguire.
Fu così che Warhol nel 1962 cominciò a realizzare i ritratti di Marilyn Monroe.
Poco dopo la morte dell’attrice ha rappresentato il suo volto nelle versioni più colorate, con lo sguardo seducente e le labbra sensuali, e ne ha realizzate varie serie. L’artista aveva preso a modello una famosa fotografia della diva, scattata da Gene Kornman, per pubblicizzare il film Niagara in cui l’attrice aveva recitato.
L’opera di Warhol può risultare impersonale, in quanto è priva di una caratterizzazione della donna. Egli, però, non voleva realizzare una rappresentazione psicologica della diva, ma, trasformando in icona una foto pubblicitaria, ha voluto trasmettere quell’immagine pubblica e stereotipata della diva che era diffusa dai mass media. Warhol, infatti, era interessato all’influenza che i media esercitavano sulla cultura di massa e sul loro contributo all’omologazione dei gusti e dei comportamenti.
Come l’attrice più famosa del momento, anche Mao Tse Tung l’uomo pubblico vivente più potente, diventò soggetto dell’ arte di Warhol.
In occasione dell’incontro a Pechino, avvenuto nel 1972, tra il presidente americano, Richard Nixon, e Mao Tse-Tung, l’artista cominciò a produrre le prime opere con il viso del capo della Cina.
Partendo dalla foto della copertina del Libretto Rosso, ha realizzato 10 serigrafie con varie tonalità di colore, riuscendo a trasformare l’immagine seria del leader di un grande impero comunista in un’icona pop degli anni Settanta. Peraltro lo ha fatto proprio negli Stati Uniti, in un paese simbolo del capitalismo.
Sempre con l’ atteggiamento di chi si limita a trasmettere la realtà senza coinvolgimento emotivo, Warhol ha raffigurato anche il volto diJacqueline Kennedy, moglie di John Kennedy.
Le immagini di Jackie al momento dell’attentato del marito fecero il giro del mondo. L’artista, perciò, ne riprodusse il volto, facendola diventare un’icona e simbolo del dolore, non personale, ma di un intero paese.
I temi della morte e del sacro
Accanto ai temi legati alla cultura pop, Warhol ha affrontatoanche quello della morte. Nella serie più famosa, Death and Disasters (Morte e Disastri ), l’artista ha utilizzato, come soggetti, incidenti stradali, suicidi, sedie elettriche, persino scatolette di tonno contaminate che sembra avesse ucciso due persone.
Anche per il tema della morte Warhol ha sfruttato il potere delle immagini sulla cultura di massa. Ha ripreso dai quotidiani il materiale per le sue opere e lo ha riprodotto in serie con la tecnica della serigrafia.
Come i media, riproponendo continuamente le immagini violente, creavano nel pubblico una “sorta di assuefazione”, anche Warhol con la ripetizione di quelle immagini intendeva svuotarle della loro drammaticità. Può darsi, però, che, con il costante memento mori, volesse anche riflettere e far riflettere sulla necessità di accettare la morte come un fatto intrinseco alla vita.
Nell’ultima opera, realizzata poco prima della morte, The Last Supper (1986) l’artista si è dedicato anche al tema del sacro, mettendo in discussione il ruolo della religione nella società contemporanea.
Nel 1984 il gallerista Alexander Iolas gli aveva chiesto di affrontare il tema dell’Ultima Cena per una mostra che si sarebbe tenuta all’interno del Refettorio del Palazzo delle Stelline a Milano. Ironicamente, il palazzo si trova proprio a pochi metri dal Refettorio di Santa Maria delle Grazie, dove Leonardo da Vinci aveva dipinto il suo capolavoro.
Last Supper è una serie di opere che, con variazioni di colore e con diversa grandezza, rivisitano proprio il dipinto di Leonardo da Vinci.
Lo scopo, ovviamente, non era favorire una riflessione sull’importanza del Cenacolo vinciano, ma demistificare l’opera d’arte attraverso la riproduzione in serie di un capolavoro, come fosse stato un qualsiasi prodotto di consumo.
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