Cosa ci insegna La rivoluzione della longevità? Il fondatore di Cocooners spiega perché il futuro è silver

«Più anni da vivere, più vita da immaginar». È il filo rosso che attraversa La rivoluzione della longevità, il libro firmato da Maurizio De Palma, fondatore e ceo di Cocooners, insieme alla giornalista Myriam Defilippi, da oggi in edicola con Il Sole 24 Ore.
Non aspettatevi il solito manuale su come «invecchiare bene», espressione, peraltro, un po’ polverosa per chi appartiene a una generazione che ha già riscritto mille volte le regole del gioco. Questo è un libro che guarda avanti: perché vivere più a lungo è una conquista straordinaria, ma ci impone di ripensare profondamente il modo in cui lavoriamo, viaggiamo, impariamo, costruiamo relazioni. E, soprattutto, il modo in cui la società ci guarda.
Perché no, non siamo quelli «pronti solo al riposo». Anzi. Come racconta De Palma, che con Cocooners dà voce ogni giorno a una community vibrante di over 55, oggi più che mai gli stereotipi vanno smontati pezzo a pezzo. Il mondo del lavoro deve cambiare passo. Le aziende devono imparare a vedere, nei senior, risorse preziose. E la politica dovrebbe guardare alla longevità non come a un costo da contenere, ma come a una straordinaria opportunità per il Paese.
Di tutto questo abbiamo parlato con lui in questa intervista esclusiva. Perché c’è molto di cui essere ottimisti. E anche qualche buona pratica da copiare senza vergogna. La rivoluzione è già cominciata.
Il titolo del suo libro parla di rivoluzione. Ma ci dica: siamo davvero pronti a vivere (e lavorare) più a lungo, o stiamo ancora inseguendo vecchi modelli da pensione a 60 anni e pantofole?
Siamo nel pieno di una rivoluzione silenziosa, ma potentissima. L’aspettativa di vita si è allungata di decenni, eppure il nostro immaginario collettivo è ancora ancorato al modello anni ’50: studio, lavoro fino ai 60 anni e poi ritiro dal mondo attivo. Il problema è che oggi questo modello non puó piú esistere. Il lavoro, inteso in senso ampio, la formazione, le relazioni sociali devono accompagnare ogni fase della vita che non puó piú seguire la dinamica lineare: studio, lavoro, vado in pensione. Altrimenti non solo sprechiamo un patrimonio umano ed economico immenso ma la società nella sua complessitá diventa poco sostenibile da tutti i punti di vista.
Lei scrive che la longevità è un’opportunità, non una condanna. Ma quali sono, oggi, i freni culturali più radicati che impediscono di vedere questa silver age come una nuova età dell’oro?
Il primo freno è lo stereotipo: continuiamo a identificare la vecchiaia con declino, fragilità, inadeguatezza. Il secondo è l’inerzia dei sistemi organizzativi, dal welfare al mondo del lavoro, ancora centrati sul “maschio adulto di mezza età”. Ma il vero ostacolo è la paura del cambiamento. Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi, non solo più anni di vita, ma più vita negli anni.
Come Ceo di Cocooners è in contatto quotidiano con una community di over 55 attivi: quali desideri, talenti e aspirazioni emergono da questo pubblico che spesso i media continuano a rappresentare in modo stereotipato?
Questa generazione vuole essere protagonista, non spettatrice. I nostri utenti cercano esperienze, relazioni, conoscenza. Viaggiano, si formano, fanno volontariato, investono su se stessi. La parola chiave è “attivismo”, non passività. I media spesso li riducono a un target assistenziale, ma i dati – e la realtà – raccontano altro: sono la generazione con più tempo, capitale relazionale e capacità di spesa.
In Italia il mantra è «i giovani non trovano lavoro». Ma lei, provocatoriamente, scrive che valorizzare l’esperienza degli over 50 non è un danno per i giovani. Come si costruisce davvero questo patto generazionale win-win?
Non è una guerra tra generazioni. Lavorare più a lungo in modo sostenibile non toglie posti ai giovani, ma crea valore. È il contesto che deve cambiare: serve un nuovo contratto generazionale dove i senior diventano mentori, facilitatori, partner dei giovani. Questo si può fare solo con politiche attive per tutte le età, con formazione continua e con una cultura aziendale che valorizzi la diversità di età come risorsa, non come problema.
Quali sono i Paesi o i modelli esteri che più la ispirano in tema di riorganizzazione del lavoro e inclusione delle competenze senior? C’è qualche buona pratica che dovremmo rubare senza troppi sensi di colpa?
Mi ispirano molto i Paesi scandinavi e il Regno Unito, dove da tempo si parla di Age Management e alcune prassi si stanno diffondendo. In altri paesi come il Giappone si è investito sulla tecnologia per aiutare i lavoratori maturi a restare produttivi. In altri ancora si sono creati ministeri o comunque commissioni sulla Longevitá, basta citare in UK l’ All-Party Parliamentary Group for Longevity, in Cina il National Health Commission and Aging Committees, in UAE il Minister of State for Longevity, in Giappone il Ministry of Health, Labour and Welfare,e sicuramente me ne sto dimenticando molti altri…. Quello che voglio dire é che buoni esempi esistono, basterebbe ispirarsi a loro ed adattarli alla società italiana, che tra l’altro ricordiamoci é una delle piú longeve al mondo, per avere un buon punto di partenza
Da manager con lunga esperienza in corporate e startup, cosa suggerirebbe oggi a un’azienda italiana che voglia fare sul serio con la valorizzazione degli over 50? Da dove si comincia concretamente?
Serve un cambio di mindset. Il primo passo è mappare le competenze dei propri dipendenti maturi, non per «gestirne l’uscita», ma per comprenderne il potenziale. Poi bisogna agire su tre leve: formazione continua, flessibilità organizzativa e percorsi di mentorship. I lavoratori senior sono una risorsa potente, ma vanno accompagnati, non abbandonati. Le aziende che lo capiranno per prime saranno le più competitive nei prossimi anni nei quali volenti o nolenti la popolazione matura in azienda aumenterà e ci saranno meno lavoratori giovani.
Se dovesse sfatare un luogo comune sulla longevità e sul lavoro in età matura, quale sceglierebbe? Ce n’è uno che la fa sorridere ogni volta?
Quello del “tanto ormai non imparano più nulla”. Nulla di più falso. I nostri utenti su Cocooners partecipano a corsi online, usano i social, comprano viaggi digitalmente. Non è l’età il limite, ma l’assenza di stimoli. Un altro luogo comune? Che vogliano solo riposarsi. La maggior parte di loro è stanca… di sentirsi dire che è troppo tardi.
Il libro si rivolge anche ai policy maker: cosa manca ancora nella nostra cultura politica per affrontare con visione la sfida della longevità attiva?
Manca un’agenda vera. Spesso si ragiona solo in termini di contenimento dei costi previdenziali, senza capire che una popolazione longeva attiva può essere una leva di crescita. Serve una Longevity Agenda: investimenti su prevenzione, formazione permanente, flessibilità in uscita e in entrata dal lavoro. E serve una nuova narrativa: il futuro non è dei giovani o dei vecchi, ma di chi sa unire esperienza e innovazione.
E personalmente, come immagina il suo stesso futuro lavorativo a 60, 70, 80 anni? Ha già qualche progetto che le fa brillare gli occhi?
Mi immagino sempre curioso, coinvolto in progetti che uniscono impatto sociale e innovazione. A 60 mi piacerebbe vedere Cocooners affermato come il leader italiano o perché no europeo della Longevità e coinvolto nella creazione in Italia di una commissione nazionale sulla Longevitá, a 70 anni fare il coach per startup che lavorano sulla longevità e dedicarmi al volontariato soprattutto per le fasce piú deboli della popolazione, a 80… magari guidare gruppi di viaggiatori senior in giro per il mondo perché solo con la conoscenza dell’altro si puó avere pace. Sì, mi brillano gli occhi, perché non vedo limiti, solo nuove stagioni da scrivere.
Se dovesse lanciare La rivoluzione della longevità con uno slogan degno di una grande campagna pubblicitaria, quale sarebbe?
«Più anni da vivere, più vita da immaginare». La longevità è una strada da reinventare.
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