Pellizza da Volpedo: “I capolavori” in mostra a Milano
Un viaggio tra opere significative alla scoperta del più grande esponente del Divisionismo, Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868 –1907): è questo lo scopo della mostra, I capolavori, ideata dalla GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano, che conserva il capolavoro dell’artista, il Quarto Stato.
Suddivisa nelle cinque sale al pianoterra della Villa Reale e nella sala del Quarto Stato, al primo piano, l’esposizione, visitabile fino al 25 gennaio 2026, documenta le varie fasi della carriera di Pellizza da Volpedo. Attraverso un percorso di quaranta opere tra dipinti e disegni, si passa dai primi lavori realistici alle opere divisioniste, caratterizzate dalla ricerca della luce e dall’esplorazione del colore.
Tutti conoscono il suo capolavoro, diventato un’icona, ma le opere precedenti e successive sono poco note al grande pubblico Eppure fu un pittore appassionato, uno sperimentatore degli effetti della luce, un abile esploratore dell’animo umano, che diede voce alla classe lavoratrice ed agli umili, elevandoli a protagonisti della storia.
Breve biografia
Giuseppe Pellizza nacque a Volpedo, in provincia di Alessandria, frequentò l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano ed espose per la prima volta alla Pinacoteca di Brera nel 1885. Dopo gli studi milanesi proseguì la sua formazione a Roma ed a Firenze, dove frequentò l’Accademia di belle arti, come allievo di Giovanni Fattori, uno dei principali esponenti del movimento dei Macchiaioli. All’inizio Pellizza fu influenzato da questo movimento, in seguito, però, grazie a Segantini, si avvicinò al divisionismo, con cui condivideva la ricerca sugli effetti della luce, diventando uno degli esponenti di spicco della corrente.
Morì suicida a soli 39 anni, nel 1907, distrutto dal dolore per la morte della moglie e del primo figlio maschio.
Adesione al Divisionismo
Giuseppe Pellizza da Volpedo fu il pittore che applicò con più rigore la tecnica divisionista. Ed è proprio con lui che la ricerca del vero ed i problemi sociali hanno trovato in questo metodo una più intensa modalità espressiva.
Il Divisionismo, una corrente sviluppatasi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, rientrava nel più vasto movimento del neo-impressionismo che continuava le sperimentazioni tecniche dell’Impressionismo sugli effetti della luce.
I divisionisti, influenzati dalle teorie scientifiche sulla percezione del colore e soprattutto dagli studi ottici di Eugène Chevreul, scoprirono che ottenevano una maggior luminosità, accostando i colori puri, senza mescolarli prima sulla tavolozza, come si faceva di solito, e lasciando che la fusione avvenisse sulla retina dello spettatore.
Sul piano tematico i divisionisti affrontarono sia soggetti naturalistici, legati al rapporto con la natura, sia argomenti sociali, legati alla quotidianità e alle condizioni di vita dei lavoratori.
Con il linguaggio divisionista Pellizza ha espresso la poesia delle piccole cose, dalle più umili alle più apparentemente insignificanti. Ma, analogamente alle poesie di Pascoli, nei suoi quadri le cose semplici diventano simboli di un’altra dimensione, legata a temi personali ed esistenziali.
Le opere più significative della mostra milanese
Nell’economia del nostro spazio, tra le opere di Pellizza del periodo divisionista, esposte in mostra, ho scelto quelle più rappresentative, per dare un’idea di come l’artista abbia affrontato temi di portata universale, anche attraverso la raffigurazione degli umili.
Iniziamo con Sul fienile del 1893 e con Speranze deluse del 1894. Queste due opere segnano il punto di svolta nella produzione artistica di Pellizza, che dal quel momento iniziò la rappresentazione del vero e del sociale attraverso la tecnica divisionista.
Sul fienile, un quadro di grandi dimensioni (133×243,5 cm), raffigura un lavoratore moribondo che riceve l’Eucarestia dal Sacerdote. Un senso di pathos emana dalla scena, accentuato dal contrasto tra l’oscurità ed il profondo raccoglimento nel fienile e la luce esterna che sembra fredda e indifferente.
L’interesse per le sofferenze degli umili si ritrova anche nel quadro Speranze deluse. In primo piano, in posizione centrale, spicca una pastorella addolorata, perché il ragazzo di cui è innamorata sposa un’altra: lo si può vedere dal corteo nuziale sullo sfondo. La sua sofferenza sembra riflettersi su tutti gli elementi circostanti, sugli alberi spogli, sulle pecore che la circondano, sul cielo grigio, senza sole.
In mostra è presente anche il bellissimo Autoritratto del 1889. E’ un olio su tela in cui Pellizza è dipinto a figura intera, in piedi, con una lunga barba, le mani nelle tasche ed uno scaffale di libri alle sue spalle. Emerge la gentilezza della sua espressione, che appare mite e composta, tipica di chi ama la vita, la giustizia, la bellezza della natura.
Risaltano anche in questo ritratto la cura dei particolari e l’interesse per il ” vero”. A differenza dei realisti francesi, però, che raffiguravano oggettivamente la realtà, Pellizza, sulla scia dei veristi italiani, ha ricercato non solo la realtà esteriore, ma anche la soggettività e l’emozione dei personaggi.
Lungo il percorso espositivo si incontrano altre opere interessanti, come Panni al sole del 1895. In questo quadro l’artista è riuscito a rappresentare magistralmente le vibrazioni della luce: il bianco delle lenzuola, stese al sole tra i tronchi bluastri degli alberi, riflette i colori circostanti. Nel prato la luce splendente ne potenzia il colore, grazie a pennellate di giallo, utilizzate con tocchi corposi, mentre pennellate quasi puntiformi e minute di colore blu e rosso rendono la luminosità del cielo.
Denso di riferimenti simbolici è Lo specchio della vita (e ciò che l’una fa le altre fanno), realizzato tra il 1895-1898. E’ rappresentata una fila di pecore, che procedono tra gli acquitrini, nel chiarore di una mattina. Una segue l’altra e ciò che l’una fa le altre fanno, come viene enunciato nel titolo dell’opera che riprende un verso dantesco (Purgatorio, canto III, v.82). Solo apparentemente, però, sembra che il quadro rappresenti una idilliaca scena agreste. In realtà contiene profondi significati simbolici che rimandano alla condizione dell’uomo che rinuncia alla propria individualità ed al proprio spirito critico, per seguire, in maniera passiva e senza porsi domande, ciò che fanno gli altri, in un percorso senza inizio, né fine, come quello delle pecore.
“Il Quarto Stato”: il capolavoro di Pellizza da Volpedo
Il quarto stato (1901) è il capolavoro di Pellizza, l’opera che l’ha reso famoso e che è diventata un’ immagine-simbolo delle rivendicazioni proletarie, apparendo in documentari e film, come in Novecento di Bernardo Bertolucci.
Rappresenta un gruppo di lavoratori in marcia per rivendicare i propri diritti. Il titolo, Quarto Stato, riprende un termine utilizzato dalla rivoluzione francese, per indicare lo strato più basso della società, e recuperato, poi, durante la rivoluzione industriale ottocentesca, per designare la classe operaia.
In quest’opera monumentale ( 293 x 545 cm.), frutto di anni di lavoro, Pellizza dipinge una folla che avanza dal buio dello sfondo verso la luce in primo piano. Questa luce ha un forte connotato simbolico: rappresenta il sole dell’avvenire, cioè un futuro migliore e radioso. Ma può anche alludere all’uscita dall’oscurità del movimento dei lavoratori, alla loro crescita ed alla consapevolezza raggiunta della propria condizione e dei propri diritti.
L’ approccio verista è ben visibile dalla cura dei particolari, dagli abiti dei lavoratori, dalla caratterizzazione precisa dei loro diversi atteggiamenti, dalle loro espressioni e dalla gestualità del corpo, che è molto eloquente. Trasmette la loro fierezza, la loro determinazione e la volontà di rivendicare i propri diritti.
La folla procede in modo composto e non violento, in quanto Pellizza ha voluto rappresentare un’avanzata lenta, sicura ed inarrestabile che simboleggiasse la progressiva affermazione del proletariato come nuova classe sociale.
Procedono fiduciosi verso un futuro più luminoso, guidati da tre persone, dipinte in primo piano, che interpretano simbolicamente lo snodarsi della vita: un uomo in piena forza, al centro, è affiancato ed incoraggiato, a sinistra, da un lavoratore più anziano ed a destra da una donna con un bambino in braccio, simbolo della rinascita e di una società più giusta.
In particolare attirano l’attenzione il passo deciso, con i piedi nudi, la gestualità, la postura e soprattutto la dignità della donna. Non può passare inosservata la lungimiranza dell’artista, che, pur vivendo in una società in cui la donna non aveva neppure il diritto di voto, ne ha celebrato le potenzialità ed il ruolo di guida.
I toni “divisi”, le pennellate filamentose di colori puri, accostate o sovrapposte, aumentano la luminosità ed esaltano la plasticità dei singoli corpi.
“Il sole” o “Il sole nascente”
Nell’ultimo periodo della sua breve vita Pellizza ha abbandonato i temi sociali per la rappresentazione naturalistica. Ne è un esempio Il sole, noto anche come Il sole nascente, dipinto nel 1904, che raffigura la luce dell’alba che si irradia nel cielo e sul paesaggio sottostante.
La scena riflette l’abbagliamento della vista di chi osserva la luce del sole. Così il paesaggio viene oscurato dal bagliore che si sprigiona dalla zona chiarissima dove nasce il sole, lasciando trapelare solo le forme della vegetazione e dei casolari in lontananza.
Dalla sfera solare si genera un’esplosione cromatica, resa sapientemente dall’accostamento di filamenti di colore puro, che rende la scena quasi astratta.
Anche in quest’opera Pellizza riprende il simbolismo della rinascita attraverso la rappresentazione dell’uscita dalle tenebre verso la luce, facendo del sole nascente e dell’alba di un nuovo giorno l’alba di una nuova vita.
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