La figura della madre nella storia dell'arte

Il tema della maternità è uno dei più ricorrenti nell’arte, da quella antica fino a quella contemporanea. Come nel tempo è cambiato il modo di rappresentare in arte la donna, così anche la raffigurazione della madre ha avuto un simile mutamento, passando dalle immagini religiose della Madonna-Madre a quelle di donna con atteggiamenti e pulsioni terrene.
Anche se è cambiato il modo di rappresentare la maternità, rimane, comunque, eterna l’immagine della madre come sinonimo di amore incondizionato. La funzione materna non si esaurisce, infatti, nel significato biologico e generativo, ma la madre è accoglienza, sostengo, protezione, guida.
La madre come Madonna
Nel Medioevo e nel Rinascimento la madre che veniva raffigurata era la Madonna. La Madre per antonomasia diventava simbolo di creazione e di purezza e l’amore materno veniva presentato come qualcosa di divino.
Madonna Sistina di Raffaello
Sono tantissime le opere che La ritraggono con il Bambino Gesù. Per esempio, in Madonna Sistina di Raffaello (1512/13), uno dei massimi capolavori del Rinascimento, la Madonna, con il bambino Gesù in braccio, appare al centro della scena, mentre discende da morbide nubi, ed ai suoi lati si trovano il Papa Sisto e Santa Barbara. La discesa è suggerita dal leggero movimento delle vesti della Madonna, che si avvicina, avvolta dalla luce. In basso, sono raffigurati i due noti angioletti, paffutelli e con i riccioli scompigliati, appoggiati ad un finto parapetto.
Le tonalità chiare dei colori accentuano la delicatezza e la dolcezza del volto della Madonna, al quale si appoggia teneramente e con fiducia quello del Bambino Gesù. La Madonna sorregge il Bambino, stringendolo a sé con grande tenerezza.
Dalla rappresentazione sacra della maternità a quella umana
Con la pittura provocatoria di Caravaggio si modifica anche il modo di rappresentare la figura della Madonna-madre.
Lo stile dell’artista lombardo è cambiato parallelamente all’evoluzione del pensiero. Il canone stilistico rinascimentale della bellezza ideale, che aveva esaltato l’essere umano come creatura a immagine di Dio, posta al centro dell’universo, veniva sostituito dalla rappresentazione oggettiva della realtà, dove l’uomo e la donna assumevano una nuova importanza. Era venuta meno, quindi, l’idea di una forma ideale, come espressione della perfezione divina, a favore della rappresentazione della realtà terrena, imperfetta e corruttibile.
In questo nuovo clima culturale si colloca Caravaggio, che ha apportato una svolta nella pittura del tardo Rinascimento, introducendo un realismo crudo ed una drammaticità inusuale ed inaspettata.
In una delle sue opere più celebri, dipinta tra il 1604 e il 1606, Madonna dei Pellegrini, Caravaggio dipinge, sulla soglia di una casa cadente, la Madonna con sembianze ed abiti da popolana, con Gesù Bambino in braccio, e due pellegrini inginocchiati davanti a lei.
Maria è raffigurata come una tenera madre che strige a sé il suo piccolo, come una donna reale. Non sembrerebbe molto diversa da quegli umili e poveri pellegrini, con i piedi nudi, gonfi per la fatica e sporchi per il fango e la polvere, se la luce non avesse conferito al suo volto ed a quello di Gesù un aspetto sacro.
E’ solo nell’Ottocento, però, che si ha una rappresentazione più realistica della donna, che acquisisce una sempre maggiore autonomia e consapevolezza. In quel periodo anche la figura della madre, perciò, è completamente demistificata: è una donna con tutte le paure e le fragilità dell’essere umano. Ne è un esempio il celebre quadro, La Culla del 1872, in cui Berthe Morisot, una pittrice impressionista francese, raffigura l’amore incondizionato, l’apprensione, la cura e la protezione della madre.
La Culla di Berthe Morisot
Nel dipinto viene rappresentata una madre, dai lineamenti dolci e aggraziati, che, seduta vicino la culla, su cui poggia una mano, quasi in atteggiamento protettivo, veglia sul sonno della sua piccolina. Mossa da un innato istinto di protezione materna, la donna ha un’espressione tenera ed intensa. I volti della madre e della bimba, allineati su una diagonale ideale, fanno pensare ad un’affinità di intenti e di affetti che crea tra loro un rapporto indissolubile.
Anche la famosa Maternità, che Pablo Picasso ha dipinto del 1905, rappresenta il rapporto madre- figlio come un’unità inscindibile. Viene raffigurata, in primo piano, una giovane donna che allatta il suo bambino. Colpisce subito lo sguardo della madre, attento, concentrato, eppure incantato e perso nel bambino che tra le sue braccia sta succhiando il latte dal seno. Una tinta color salmone avvolge poi madre e bimbo in un abbraccio eterno.
I lineamenti sottili e le mani affusolate della donna e le tonalità tenue e quasi rarefatte di rosa e grigi, su uno sfondo blu-grigio indistinto, sono funzionali alla rappresentazione dell’intensità e della dolcezza della maternità.
La madre lavoratrice
Dove emerge la donna in tutta la sua grandezza nel suo duplice ruolo, come madre e come donna lavoratrice, costretta a sottoporsi ad un duro lavoro, come quello della vangatura, è in Vanga e latte, realizzato nel 1883-1884 dal pittore verista Teofilo Patini.
Il dipinto rappresenta un padre di spalle, mente sta vangando, ed una madre che allatta il suo piccolo. La donna ha sospeso il lavoro nei campi: la vanga, conficcata nella terra nel punto in cui la donna l’ha lasciato, per allattare il bambino, sembra che stia lì ad aspettare il suo ritorno.
La figura femminile, in primo piano verso l’osservatore, è la vera protagonista del quadro. E’ raffigurata nel suo ruolo materno, mentre seduta a terra, allatta al seno il suo bambino, che succhia il latte con avidità. Intorno a lei appaiono pochi oggetti, simboli della loro povertà, accentuata anche dall’aridità del luogo, su cui spuntano dei cardi secchi e spinosi.
Questa madre rivolge il viso, indurito dalla fatica e scurito dal sole, verso il bambino e lo guarda amorevolmente e forse anche con una certa preoccupazione per il destino che lo attende. Non ha solo forza fisica, ma denota anche una grande forza morale che la eleva ad eroina. Le deriva dall’ essere madre e quindi pronta a sopportare qualunque sacrificio e fatica per il bene del proprio figlio.
Come Patini, anche Honoré Daumier ritrae madri umili e povere, ma che spiccano per il loro coraggio e la loro forza interiore. In La Lavandaia del 1863 Daumier ha raffigurato una madre, che, dal fiume, dove è andata a lavare il fascio di panni che porta sotto il braccio, risale le scale lentamente, per mantenere il passo della sua piccolina che ha dovuto portare con sé al lavoro. Tenendole stretta la manina, la sorregge nella salita e contemporaneamente non stacca da lei il suo sguardo amoroso ed attento, perché non inciampi e non si faccia male.
Van Gogh, poi, ci ha lasciato una rappresentazione crudamente realistica. In I mangiatori di patate (1885) in uno spazio buio, intorno ad un tavolo ed avanti ad un unico piatto di patate, risalta la figura di una madre che sta versando del caffè. Una rassegnazione mista a tenerezza traspare nella donna, rappresentata ricurva, con le mani rovinate, il viso spigoloso e visibilmente molto stanca.
Sparito lo stereotipo della donna fragile e debole, dall’intensità del volto di questa madre si capisce chiaramente la sua forza interiore nel portare avanti la famiglia, pur in una condizione precaria e difficile, resa più pesante da un lavoro duro e ripetitivo, come quello nei campi.
Madre come simbolo del divenire della vita
Dopo essere stata rappresentata come Madonna, come donna forte e simbolo di amore, la madre viene vista da un’altra prospettiva: diventa simbolo della vita nel suo divenire.
In un’opera iconica, Le tre età della donna, realizzata nel 1905 da Gustav Klimt, protagonista della secessione viennese, vengono unite tre generazioni di donne: una figlia, una madre, figlia anche lei, ed una nonna. Rappresentano le tre fasi della vita femminile: l’infanzia, la maternità ed il declino della vecchiaia.
Mentre la madre e la bambina, sulla destra, attirano l’attenzione, la donna anziana, sulla sinistra, fa quasi da sfondo. Generatrice delle altre (si vedono gli esiti dal ventre rigonfio), si nasconde il viso con una mano, ha i capelli ricci e grigi, che le scendono sul volto, e la pelle cadente. La giovane madre è raffigurata con lunghi capelli arancioni, incoronati dai fiori, simbolo dell’età feconda, e con la pelle bianca e liscia, uguale a quella della bambina che tiene in braccio teneramente. La piccola, appoggiata al petto della madre, dorme tranquilla, sentendosi protetta.
Klimt ha abbinato sapientemente il colore agli stadi della vita della donna. Nella rappresentazione dell’anziana emergono tonalità cupe, in quella delle altre due figure femminili, invece, predomina il bianco della pelle, liscia e levigata. Uno scialle avvolge l’abbraccio tra madre e figlia, quasi per dimostrare il loro legame indissolubile, che niente può spezzare.
La madre come guida
Abbiamo visto come con Patini, Daumier e Van Gogh sia venuto meno lo stereotipo della donna-madre fragile e debole, Pelizza da Volpedo va oltre, dipingendo una madre promotrice e protagonista del cambiamento e non più come una donna oppressa e passiva.
Nel suo famoso quadro, Il quarto stato del 1901, Pelizza da Volpedo rappresenta una folla di lavoratori in marcia per protesta, che dal buio avanza verso la luce del progresso. Alla testa del corteo, che procede unito e pacifico, ci sono tre figure, una delle quali è una madre con il bambino in braccio.
Se la postura ed il morbido panneggio della veste della madre, mossa dal movimento, rimanda alla solennità delle figure classiche, il suo passo deciso, i gesti, i piedi nudi ne fanno il simbolo della forza e della resilienza. Al tempo stesso diventa anche emblema della lotta per un mondo migliore per il bambino che stringe a sé e per le generazioni future. Non appare affaticata, anzi è lei, che, avanzando sicura, indica la strada: è lei la guida verso il cambiamento.
L’emancipazione femminile nell’arte contemporanea
I miglioramenti per l’ ingresso nel mercato del lavoro e le conquiste dei diritti hanno spinto le donne ad affermare la propria soggettività, esibendo il proprio corpo anche in performance provocatorie.
Nei primi anni sessanta Alice Neel, figura chiave dell’arte figurativa americana nel ‘900, ha rinunciato ai modi tradizionali, spesso stereotipati, di rappresentare la maternità ed ha iniziato una serie di nudi di donne in gravidanza, come il famoso Pregnant Maria (Maria incinta). Ha ritratto donne che esibiscono il proprio corpo nel momento più importante ed affascinante della loro vita, senza il timore di mostrarne la deformazione e la fragilità.
Nell’arte di Alice Neel non c’è alcuna mistificazione della realtà, ma solo il desiderio di scavare nell’animo delle persone, per riportare sulla tela la loro intensità emotiva.
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