Le poesie più emozionanti per ricordare la festa della mamma

Per la festa della mamma abbiamo scelto alcune poesie che ne celebrano la figura oppure che manifestano il sentimento forte e genuino dei figli verso la propria madre.
Sono sensibilità diverse, voci diverse, ma sono tutte ugualmente suggestive ed emozionanti.
“A mia madre” di Edmondo De Amicis
Non sempre il tempo la beltà cancella
O la sfioran le lacrime e gli affanni;
Mia madre ha sessant’anni,
E più la guardo e più mi sembra bella.
Non ha un detto, un sorriso, un guardo, un atto
Che non mi tocchi dolcemente il core;
Ah se fossi pittore
Farei tutta la vita il suo ritratto.
Vorrei ritrarla quando inchina il viso
Perch’io le baci la sua treccia bianca,
O quando inferma e stanca
Nasconde il suo dolor sotto un sorriso.
Ma se fosse un mio prego in cielo accolto
Non chiederei del gran pittor d’Urbino
Il pennello divino
Per coronar di gloria il suo bel volto;
Vorrei poter cangiar vita con vita,
Darle tutto il vigor degli anni miei,
Veder me vecchio, e lei
Dal sacrifizio mio ringiovanita.
Questa lirica di Edmondo De Amicis è un canto dolcissimo, pieno d’amore per la madre avanti con gli anni. Le parole che il poeta usa sono semplici, ma toccano nel profondo, perché esprimono pienamente la forza del sentimento filiale verso chi l’ha generato.
La madre ha ormai i capelli grigi ed è inferma e stanca, ma per il figlio è sempre giovane e bella. Sembra che la bellezza della madre, non cancellata dal passare del tempo, derivi dall’esterno (E più la guardo e più mi sembra bella), invece emerge dalla sua interiorità, da quel sorriso pieno d’amore, con cui Nasconde il suo dolor, per non far preoccupare il figlio. Quello materno è un sentimento primordiale ed istintivo, simbolo di un affetto incondizionato e di un legame eterno.
“La madre” di Giuseppe Ungaretti
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
La Madre è una poesia scritta da Giuseppe Ungaretti nel 1930, contenuta nella raccolta Sentimento del tempo.
Sono versi struggenti che raccontano quel legame indissolubile tra la madre ed il figlio che neppure la morte può spezzare.
La madre continuerà ad essere una presenza rassicurante ed una guida insostituibile per il poeta anche nell’al di là, così come aveva sempre fatto nella vita terrena (come una volta mi darai la mano).
La figura materna assume un ruolo intermediario tra il figlio ed il perdono divino, implorando per lui la salvezza eterna. Commuove la sinestesia conclusiva che, associando alla vista (avrai negli occhi) il respiro (un rapido sospiro), fa immaginare il sollievo ed il conforto della madre per aver salvato il figlio e averlo ritrovato per sempre.
Il ricongiungersi con l’amata madre dopo la morte significa per Ungaretti ricongiungersi anche con il proprio passato e trovare finalmente la pace accanto a lei.
La madre, simbolo di nascita, di amore, di protezione, diventa in questi versi anche emblema di rinascita e di salvezza.
“Lettera alla madre” di Salvatore Quasimodo
Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.» – Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. –
«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.
Lettera alla madre è una emozionante poesia di Salvatore Quasimodo, contenuta nella raccolta La vita non è un sogno.
Il latinismo, mater dolcissima, conferisce un tono solenne e religioso all’incipit della poesia, mentre il superlativo ne accentua la portata affettiva.
La madre è rappresentata anziana, non più in salute (So che non stai bene),preoccupata, come tutte le madri dei poeti, che hanno scelto una vita in povertà, ma soprattutto in pena, come tutte le madri che hanno i figli lontani.
La mente del poeta si affolla di ricordi contrastanti. Gli viene in mente che una notte dalla sua bella Sicilia fuggì … con un mantello corto / e alcuni versi in tasca, per andare a guadagnarsi da vivere a Milano. Ma gli appare anche l’immagine, tenerissima e tipicamente materna, di una mater che, in preda allo sconforto ed alla paura, teme il peggio: addirittura che suo figlio, così pronto di cuore/lo uccideranno un giorno in qualche luogo. Questo è il grande rammarico di Quasimodo: essere motivo di pena e di sofferenza per la madre, già afflitta dagli anni e dalle sofferenze.
Il poeta riconosce il peso di un sacrificio che solo una madre è in grado di sopportare, grazie al suo amore incondizionato per i figli. Al tempo stesso la ringrazia per avergli trasmesso il dono dell’ironia che gli ha fatto affrontare la vita con il sorriso che l’ha salvato da pianti e da dolori.
Alla fine la nostalgia ed il rimpianto si trasformano in una preghiera alla morte che non tocchi le mani e il cuore dei vecchi. E’ la voce di un figlio che ha paura di vedere la propria madre soffrire, di perdere colei che lo ha generato e che gli ha dato ogni bene possibile.
L’orologio della cucina degli ultimi versi è il simbolo dello scorrere del tempo, dell’età della sua infanzia, protetta dalle cure della mamma Clotilde che ora vive la sua vecchiaia in solitudine, senza quel figlio tanto amato.
Il finale è struggente: la ripetizione di Mater dolcissima non evoca più la tenerezza dei primi versi, ma lo strazio per un congedo che il poeta presagisce senza ritorno.
“La madre” di Ada Negri
Vedova, lavorò senza riposo
per la bambina sua, per quel suo bene
unico, da lo sguardo luminoso;
per essa sopportò tutte le pene,
per darle il pan si logorò la vita,
per darle il sangue si vuotò le vene.
La bimba crebbe, come una fiorita
di rose a maggio, come una sultana,
da la materna idolatria blandita;
e così piacque a un uom quella sovrana
beltà, che al suo desio la volle avvinta,
e sposa e amante la portò lontana!
Batte or la pioggia dal rovaio spinta
ai vetri de la stanza solitaria
ove la madre sta, tacita, vinta:
schiude essa i labbri, quasi in cerca d’aria;
ma pensa: “La diletta ora è felice… “.
E, bianca al par di statua funeraria,
quella sparita forma benedice.
Questa poesia è un elogio all’amore incondizionato ed alla dedizione di una madre, di una donna forte e pronta a tutto, anche a sacrificare la propria vita per il benessere della figlia.
Questa madre l’ha protetta, l’ha amata, ha fatto tutto per lei, è stata per lei unica ed insostituibile e poi l’ha lasciata libera di vivere la sua vita, anche se ciò l’ha portata lontano da lei.
Il pensiero che “La diletta ora è felice…” la ripaga di tutto, per cui accetta senza lamentarsi la sua solitudine, anzi benedicendo silenziosamente la figlia ed augurandole il meglio.
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